Lotto n° 146  | Asta 606

Scheda critica

Valutazione € 5.000  - 6.000 

Aggiudicato € 11.000 

In asta: 28 Marzo 2023 ore 15:00

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Elia Vincenzo Buzzi (Viggiù 1708 - 1780) (attr.) Metà del secolo XVIII Leda e il cigno Gruppo statuario in pietra arenaria (pietra di Viggiù?) (h. cm 137) (difetti) Poggiante su basamento originario (h. cm 87) (difetti)   Le due sculture (lotti 146 e 147) tematicamente affini, presentano nel personaggio femminile della mitologia greca Leda, figlia di Testio ed Euritemi, regina di Sparta, madre di Elena, Polluce, Castore e Clitennestra, qui ritratta in vesti regali discinte seduta sensualmente su uno sprone roccioso lungo le rive del fiume Eurota, mentre viene corteggiata da Zeus, manifestatosi sotto forma di Cigno per sedurla, sorretto da un amorino. L’altro personaggio, anch’egli seduto su uno sprone, è Adone, frutto dell’amore incestuoso del re di Siria, Teia, e di sua figlia Mirra che, trasformata in albero, lo partorì dalla corteccia. Si tratta di una figura mitologica di origine siriaca che simboleggiava il ciclo stagionale di morte e resurrezione della natura, e pertanto insieme a Leda, emblema di fecondità, si adattava perfettamente alla statuaria da giardino chiamata a raffigurare il rigoglio culturale ed economico della famiglia, a sua volta connesso alla ricchezza della natura. Adone è qui raffigurato nella duplice accezione di personaggio della poesia bucolica, ovvero nelle forme di un bellissimo, giovane pastore (con corona di tirso e zampogna), e nelle vesti di cacciatore, come desumiamo dalla veste ricavata da una pelle d’animale, forse un’antilope. È accompagnato da un cinghiale, quale prefigurazione della morte che Adone raggiunse per la ferita causata dall’animale inviatogli contro da Ares durante una caccia sul monte Libano, ma anche come allusione al ridestarsi vigoroso della natura dopo i rigori invernali (rappresentati dal cinghiale). Le due figure, di grande eleganza, dalle proporzioni allungate dei corpi, dalle posture animate e di sapore ‘rococò’, percepibile nella profusione di dettagli d’ambiente, richiamano, anche per i tratti affilati dei volti, i panneggi tesi e taglienti, e l’articolazione artificiosa in accentuato ‘contrapposto’, la statuaria di Elia Vincenzo Buzzi, scultore nativo di Viggiù, piccolo paese in provincia di Varese, operoso per il cantiere del Duomo di Milano forse già nel corso della metà del terzo decennio del Settecento sotto l’ala protettrice di Carlo Francesco Mellone e Carlo Beretta (Ferri Piccaluga 1972; Caprio 1997). Possiamo intuirlo confrontando le nostre due sculture con le Sibille del Museo del Duomo (Tesoro e Museo 1978, nn. 266, 267), con il gruppo in terracotta raffigurante il Sogno di Endimione, presentato nel 1729 come saggio d’ammissione a quel cantiere (Tesoro e Museo 1978, n. 261) o con il gruppo statuario in marmo raffigurante l’Angelo custode del Duomo di Milano del 1763 (Zanuso 1997, p. 194), opera che più delle altre, per le pose sciolte e diagonali, la fluidità delle vesti rispetto alle rigidità dei decenni precedenti, la ricca ambientazione sperticata, si accosta a Leda e Adone, di cui, pertanto, sembrerebbe plausibile una datazione almeno alla metà del XVIII secolo.   Per confronto si veda: - G. Ferri Piccaluga, voce Buzzi, Giovanni Battista, detto il Viggiù, in Dizionario Biografico degli Italiani, 15, 1972; - R. Bossaglia e M. Cinotti, Tesoro e Museo del Duomo, 2 voll., Milano 1978; - L. Caprio, Aggiornamenti sull'attività di Elia Vincenzo Buzzi, in “Arte lombarda”, 119, 1997, pp. 91-10. - S. Zanuso, Elia Vincenzo Buzzi a Canzo, in “Nuovi Studi”, 4, 1997, pp. 193-201.


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